Seattle in questa estate del 1993 è l’ombelico del mondo. Almeno se di mestiere fai il critico musicale, il produttore o assembli computer. Eppure fino a qualche anno la città più piovosa d’America, non offriva granché oltre ad un pellegrinaggio nostalgico sulla tomba di Hendrix. Ma ora il mondo è qui, o meglio vi ruota intorno.
Sulla scena quelli che ci convincono di più sono i Pearl Jam. Quintetto con un piede nel passato (chitarre zeppeliniane e ritmiche selvagge quanto basta) ed un altro nel futuro (o meglio nel presente, perché chissà per quanto tempo ancora si vedranno camicie a scacchi a nord di San Francisco). In più, e non guasta, una voce fra le più originali degli ultimi anni: Chris Cornell canta come un dio barbarico, con la stessa energia di un redivivo Robert Plant, estensioni straordinarie, timbro persistente e personale, acuti da brividi.
Jack Irons, ex RHCP racconta: «Avevo una demo di Gossard ed Ament. Quattro o cinque tracce strumentali. Dopo la morte di Wood (ex cantante dei Mother Love Bone, band seminale della scena di Seattle) avevano ricominciato a scrivere e cercavano un cantante. Ho spedito la cassetta ad un mio amico di San Diego: Ed Vedder. Come sia finita nella mani di Chris non l’ho mai capito, ma sono contento così. Chris è un amico. E poi che voce. Eddie? Boh, non lo sento da un po’. Suonava con i Bad Radio».
E se le poste statunitensi ci capissero di musica?