LIBRI, PASSIONE PARIGI

A Parigi nonostante la crisi  diverse piccole librerie hanno evitato la chiusura puntando sul rapporto di fiducia fra l’appassionato lettore e i consigli di un esperto libraio. L’atmosfera intima di questi luoghi di cultura, unita spesso a una storia decennale, ha permesso a dei piccoli negozi di portare avanti un lavoro artigianale fatto di passione e pazienza. Nella capitale francese le librerie dal duemila sono diminuite di un terzo. C’e ne sono settecentoquindici. Ma è sempre un buon numero se si considera che in tutta Italia ce ne sono ottocentoundici. Una delle librerie parigine che nonostante il passare del tempo, e una diversa fruizione della pagina stampata, continua ad essere un punto di riferimento per gli appassionati è la Shakespeare and Company. La sua storia è il frutto dell’intraprendenza di una ragazza americana, che arrivata a Parigi nei primi anni venti del secolo scorso, per un viaggio di piacere, si innamora della città e decide di restarci. Affascinata dal fermento culturale, mondano, artistico che la città sta vivendo in quel periodo decide di aprire una libreria; chiede, tramite un telegramma alla madre che vive a Princeton, di spedirgli i soldi necessari all’avvio dell’attività e lei generosamente gli manda tutti i suoi risparmi. Con il gruzzoletto materno Sylvia Beach fonda con l’aiuto di una ragazza francese, Adrienne Monnier, anche lei proprietaria di una vicina libreria, la Shakespeare and Company nel millenovecentodiciannove in rue l’Odéon.

Diventa in poco tempo il fulcro di una schiera di giovani autori inglesi e americani, spesso squattrinati, in cerca di notorietà a Parigi,  attirati come dei vagabondi da quell’oasi magnetica dove una semplice libreria si trasforma in una community letteraria, con tanto di biblioteca e sala di lettura, dove assorbire e condividere idee ed esperienze, anticipando di decenni un certo tipo di housing sociale, attuato nei quartieri più disagiati,  finalizzato alla divulgazione culturale attraverso una tessera di prestito che permetteva a chi non aveva soldi di acquistare libri.

Dopo aver raggiunto la notorietà diventando la prima editrice a pubblicare l’Ulysses di James Joyce, censurato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna per il suo contenuto considerato osceno all’epoca, Sylvia Beach diventa amica e confidente di scrittori e scrittrici , abituali clienti o frequentatori occasionali del negozio, come lo stesso scrittore irlandese Joyce, Ernest Hemingway, Henry Miller, Paul Valéry, Gertrude Stein, Ezra Pound, Francis Scott Fitzgerald e altri. L’occupazione nazista della Francia costringe Sylvia a chiudere il negozio, dopo essersi rifiutata di vendere l’ultima copia del romanzo dell’amico James Joyce “Finnegans Wake” a un ufficiale nazista. Come nel capolavoro di Ray Bradbury ” Fahrenheit 451″ di qualche decennio dopo, Sylvia mette in salvo tutti i libri nel tempo raccolti, non memorizzando parti di essi nelle menti di sopravvissuti post-apocalittici, come immaginato nel libro dello scrittore fantascientifico, ma nascondendoli in luogo segreto per impedire che cadano nelle mani dei nazisti per essere requisiti e distrutti.

Anni dopo negli anni cinquanta un giovane americano George Whitman, dopo aver aperto una piccola libreria” Le Mistral” vicino le rive della Senna, incontra Sylvia Beach, che vedendo il lui l’erede giusto della sua idea di community letteraria, gli concede l’autorizzazione a usare il nome del vecchio negozio, ormai chiuso dalla fine della guerra. George Whitman estremizza ancora di più l’idea della vecchia proprietaria facendo diventare la libreria una vera e propria “casa letteraria” , dove gli scrittori di passaggio, all’epoca appartenenti in maggioranza al movimento della Beat generation, possono dormire, usando le pile di libri come cuscini, e mangiare, a patto che lavorino almeno due ore al giorno, promettano di leggere un libro al giorno e scrivano un’autobiografia almeno di una pagina con la macchina da scrivere messa a loro disposizione. La libreria diventa un romanzo vivente dove “ogni stanza è un capitolo da scoprire”; il desiderio di Whitman è “che le persone aprano la porta nello stesso modo in cui aprono un libro; un libro che porta nel mondo magico della loro immaginazione”. Oggi la figlia, Sylvia Whitman, nome datogli in onore della fondatrice, porta avanti con coraggio e professionalità la filosofia paterna di “un’utopia socialista travestita da libreria” dando la possibilità a giovani aspiranti scrittori e scrittrici, venuti da tutto il mondo, di  entrare nel suo negozio con l’idea di restarci, imparando, crescendo, rifugiandosi, come diceva Whitman, al sicuro in una nicchia dove  poter ” guardare l’orrore e la bellezza del mondo”  leggendo un libro, per poi uscirne da persone migliori…

Paolo Marra

Massi

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