BOTTIGLIE E SABBIA DEL SAHARA

Ricevo volentieri la segnalazione di questo articolo da Fatima Mahfud, Vice Rappresentante Fronte Polisario per l’Italia, ospite in diretta a Note di Viaggio lunedì quattro marzo duemiladiciannove, che copio e pubblico con piacere, l’articolo è firmato da Michele Novaga, qui di seguito il link con l’articolo e sito originale,

Bottiglie di plastica riempite di sabbia per le case dei Saharawi

Uno straordinario caso di economia circolare realizzato da Tateh Lehbib, un ingegnere che vive da rifugiato in uno dei luoghi più inospitali della terra dove sono costrette a vivere decine di migliaia di persone.

Per chi vive da rifugiato nel più inospitale dei deserti, quelle bottiglie di plastica rappresentano la sopravvivenza. I quasi centocinquantamila profughi saharawi che dal millenovecentosettantacinque vivono in cinque immense tendopoli del Sahara algerino nei pressi della città di Tindouf, fuggiti lì a seguito dell’occupazione del loro paese – il Sahara Occidentale – non ne possono infatti fare a meno date le temperature che di giorno arrivano fino a cinquanta gradi. Bottiglie il cui smaltimento rappresenta un problema per le condizioni estreme in cui sono costretti a vivere nonostante la comunità internazionale cerchi di alleviare le loro sofferenze con la distribuzione di aiuti umanitari. Non solo cibo e medicinali: tra gli aiuti anche l’acqua che l’Alto commissariato Onu dei profughi (UNHCR) recapita ogni settimana in ogni tenda (chiamata Jaima in Hassania, la lingua dei Saharawi) per mezzo di autoclavi ma che spesso non è sufficiente anche per lavarsi e cucinare.

Ma a sottrarre le bottigliette all’ambiente e convertirle in uno strumento utile al suo popolo ci ha pensato Tateh Lehbib dalla nascita profugo della tendopoli di Auserd che ha cominciato a raccoglierle e a riempirle di quell’elemento naturale che più di ogni altro abbonda in quel luogo: la sabbia. E così granello dopo granello riempiendo seimila bottiglie Tateh, ingegnere specializzato in energie rinnovabili e con un master in efficienza energetica conseguito in Spagna, grazie anche ai duecentocinquanta euro vinti ad un concorso di innovazione a Ginevra, ha costruito una casa circolare per sua nonna.

Un prototipo che ha avuto un seguito tanto che oggi sono venticinque le case costruite con questa tecnica: l’UNHCR (l’Alto commissariato ONU dei profughi) ha messo a disposizione dei fondi per costruire altre venticinque di queste abitazioni destinandole alle famiglia più vulnerabili delle cinque tendopoli che compongono l’esilio dei Saharawi. «All’inizio i rifugiati rifiutavano l’idea di una casa perché, nonostante viviamo in questo luogo da profughi ormai da oltre quaranta anni, continuiamo a pensare di essere qui ancora per breve tempo e che quindi non vale la pena costruire qualcosa di definitivo. Una mentalità che condivido anche se voglio vivere degnamente» ha dichiarato Tateh che è diventato il protagonista di un documentario intitolato “El loco del desierto” (Il matto del deserto) diretto dalla regista spagnola Julieta Cherep.

Massi

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