MUSICA. Eight days a week, il docufilm sui Beatles

Il regista Ron Howard firma questo docu-film che omaggia i Beatles e ruba il titolo di una delle loro hit per raccontare quattro anni di tour e concerti, di follia e di folla che terminarono con la decisione di John, Paul, George e Ringo di porre fine alle esibizioni live, anticipando di tre anni quella più definitiva di sciogliersi, terminando quella bellissima assurda e irripetibile avventura che ha cambiato la musica contemporanea.

Il regista ha accuratamente selezionato materiali di repertorio per offrire il punto di vista dei musicisti che è sempre in primo piano nonostante il film parli anche del fenomeno del fanatismo di massa. Ron Howard accompagna il pubblico alla scoperta del viaggio che portò i Beatles a salire simbolicamente “sul tetto del mondo”, dominando le classifiche ed entrando nella vita quotidiana e nei cuori delle persone, ma che anche li cambiò profondamente.

Nel 1962 erano quattro ragazzi che suonavano per divertirsi, poi iniziarono a comunicare davvero se stessi e il proprio mondo per poi tornare “a casa” con il celeberrimo ultimo concerto a Londra nel 1966 al Candlestick Park  di San Francisco , dopo il quale non suonarono più dal vivo. È il momento più intimo del film e sembra quasi un happy end.

Nonostante le parole di Ringo (probabilmente ottimista fino all’ultimo), gli altri tre Beatles sapevano che quella sarebbe stata l’ultima volta e volevano documentarla. Harrison commentò l’evento esclamando: “Sarà un tale sollievo… non dover avere più a che fare con tutta questa follia. È stata una decisione unanime.” Non è un caso che, dopo aver suonato l’ultimo brano previsto in scaletta (“Long Tall Sally” di Little Richard), prima di abbandonare il palco, John Lennon accennò l’arpeggio iniziale di “In My Life, scritta da Mc Cartney che però conteneva un assolo di piano velocizzato in studio, tanto da far sembrare lo strumento un clavicembalo. Dal vivo, sarebbe stato impossibile suonarlo e la band non aveva nessuna intenzione di accettare arrangiamenti più banali e adatti ai live.

Dopo quel 29 agosto i Beatles si ritrovarono presso gli Abbey Road studios in autunno per lavorare a una nuova canzone. Era Strawberry Fields Forever e avrebbe segnato un profondo cambiamento nel loro modo di fare musica.

Il documentario cerca poi di dare più spazio possibile alle singole voci dei musicisti e al loro dialogo con il pubblico, che tornerà ad ascoltarli dal vivo soltanto in occasione dell’ultimo concerto prima dello scioglimento della band, il 30 gennaio 1969 sul tetto della Apple Records a Londra in Savile Row.

Massimiliano Bosco
Massimiliano Bosco

Massimiliano Bosco nasce a Roma nel 1967.
 Inizia da piccolo ad apprezzare la musica lirica e classica grazie al papà, tecnico del Teatro dell’Opera di Roma, che lo introduce nel mondo dell’Opera e del Melodramma. La musica diventa la sua passione principale. A quindici anni inizia a studiare la chitarra e da lì nasce l’amore e la passione per i Beatles, suoi maestri. Parte così un percorso di ricerca musicale che spazia dalle grandi rock band e funky anni ’70 fino ad arrivare al Jazz e alla fusion negli anni ’90. Tra i gruppi più amati ci sono gli Eagles, i Grand Funk Railroad, i Jethro Tull. Nel 2013 frequenta l’Accademia di conduzione radiofonica e televisiva ART di Roma, impara, grazie ai docenti scelti tra i più importanti network radiofonici e televisivi, le basi della conduzione e della scrittura di format radiofonici, così da essere in grado di poter dar vita alla realizzazione del suo grande sogno, scrivere e condurre una trasmissione radiofonica che parli principalmente di musica. Dal luglio 2013 conduce “Note di Viaggio”, un programma scritto e condotto da lui, dove accosta ai racconti e ai diari di viaggio la musica, frutto della ricerca di anni e della passione iniziata sulle poltrone del Teatro dell’Opera, suo grande amore.



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