SOUL JAZZ RECORDS, ANIMA GLOBALE

“Essere l’anima e il punto di connessione fra i vari generi musicali provenienti da diverse nazioni del mondo ” Questo è lo scopo dell’etichetta indipendente Soul Jazz Records fondata da Stuart Baker, un barbuto signore con l’aria Hippy, nel millenovecentonovantadue specializzata in compilation rimasterizzate e re-edizioni in vinile di album di musica jazz, brasiliana, punk, soul, ska, dub, hip hop e reggae. La sua passione per i dischi inizia a dieci anni, e nel tempo si interessa a diverse forme e stili musicali. Determinante l’incontro con dj inglese Gilles Peterson come racconta Stuart Baker “Con Gilles ci conosciamo da anni. Se non fosse stato per lui e per Eddie Piller ( fondatore dell’etichetta Acid Jazz) non so se il marchio della Soul Jazz sarebbe cosi famoso oggi”. Una ricerca non solo finalizzata alla riscoperta e promozione di generi musicali eterogenei al di fuori del circuito mainstream e del grande business, ma anche un modo per far conoscere la cultura strettamente legata ai luoghi di provenienza delle diverse espressioni artistiche. Peculiarità evidente negli artwork delle copertine, molto curate nel packaging, nel design e nei contenuti extra, in cui le immagini e le note di copertina analizzano in maniera approfondita il lifescape etnico, politico ed sociale in cui un genere musicale si è evoluto, trasformato in un determinato periodo storico. Un valore aggiunto che rende unica l’offerta della Soul Jazz Records dietro cui si cela il pensiero unanime di persone qualificate. Stuart Baker dice ” I nostri clienti preferiscono il supporto fisico, vinile o cd, al formato digitale. C’è sempre passione e un pezzo di noi dentro ognuna delle release Soul Jazz e vorremo che i nostri follower continuino ad apprezzarlo” L’attenzione per l’arte espressa dalle copertine di album jazz e reggae degli anni sessanta e settanta viene analizzata anche attraverso libri e film come “Studio One Rockers” il primo edito dalla Soul Jazz Records.

Caleidoscopio sonoro. Il negozio Sounds of Universe nel cuore di Soho, quartiere di Londra, è il punto nevralgico in cui il caleidoscopio sonoro e concettuale dell’etichetta si materializza in due piani in cui l’appassionato può muoversi tra scaffali di vinili, libri e poster, ascoltare il proprio l’album preferito e scambiare due parole con il negoziante di turno. Stuart Baker racconta ” Quando ho comprato questo posto, Soho era molto diversa da oggi. Alla fine degli anni ottanta il quartiere era il centro della cultura underground londinese e il movimento punk stava lasciando il posto alla scena Acid House e alla dj culture. Ho trovato per caso un basement dove vendevano chitarre particolari e altri strumenti musicali… mi sembrava l’atmosfera giusta per metterci dentro la mia collezionedi vinili”. L’offerta musicale originale e policroma offerta dal negozio ha attirato negli anni dj, esperti musicali, artisti famosi come Moodyman, Questlove, Theo Parrish e Prince che aveva l’abitudine di passarci durante i tour londinesi. L’atmosfera multicolore del negozio si coniuga perfettamente con il texture del quartiere di Soho, una zona a forte connotazione multi-culturale, multi-religiosa, famosa per i locali gay e per i club tra cui lo storico Marquee dove per la prima volta, nel millenovecentosessantadue, suonarono degli ancora acerbi Rolling Stones.

Il Raggae è unico, non credo che scomparirà presto”. Stuart Baker. Nel millenovecentonovanta la Soul Jazz Records si associa con l’etichetta Jamaicana Studio One fondata da Clement Dodd, negli anni sessanta considerata la Motown della Jamaica. L’etichetta rappresentò un passo avanti nello sviluppo della musica reggae e dei suoi vari movimenti musicali come lo ska, rocksteady e il dancehall. Clement Dodd aveva iniziato negli anni cinquanta proponendo brani R&B al pubblico jamaicano scovati nei suoi numerosi viaggi negli Stati Uniti, dove in precedenza aveva vissuto per alcuni anni. Con l’utilizzo dei famosi Sound System molto diffusi in quegli anni nei ghetti di Kingston, formati da amplificatori molto potenti e piatti, inizio a suonare diversi dj set per le strade della città attirando un pubblico sempre più numeroso, ottenendo in poco tempo un grande successo. In seguito inizia a produrre musica locale tenendo audizioni ogni domenica nello studio di registrazione, di proprietà dello Studio One, per cercare e promuovere nuovi talenti; ed è in una di queste sessioni, che Clement Dodd scopre un giovane Bob Marley di cui produsse la canzone “Simmer Down”, alla vetta della classifica jamaicana nel millenovecentosessantaquattro. Parlando dell’icontro con Clement Dodd, Stuart Baker dice “ Abbiamo avuto il coraggio di contattare Clement Dodd dimostrando tutta la nostra ammirazione per lo Studio One e chiedendogli se avesse voluto lavorare con noi… Clement ha preferito noi per la nostra indipendenza e lo stile eclettico del nostro catalogo” Dopo la sua morte, avvenuta nel duemilaquattro, la collaborazione fra le due etichette continuò prima con la moglie fino al duemiladieci, anno del suo decesso, e poi con la figlia Carol.

Di fatto molta della musica promossa qui è stata realizzata nel millenovecentosettanta, da molti erroneamente ristretta in una definizione commerciale nella sua essenza, ma secondo gli Art Ensemble of Chicago semplicemente Great Black Music… Note di copertina dell’Album Soul of a the nation.

Alcuni anni fa Stuart Baker incontra Mark Godfrey, curatore della mostra alla Tate Modern dal titolo “Soul of a Nation: Art in the Age of Black Power” che gli chiede di parlare del rapporto fra l’arte afro-americana e il jazz degli anni sessanta e settanta; da questa interessante conversazione scaturisce la volontà da parte di Stuart Baker di mettere insieme brani di diversi artisti afroamericani, accompagnati da immagini e accurate note di copertina, che potessero fotografare un movimento artistico nato sull’onda della lotta dei diritti civili, ispirata da Martin Luther King e dalle organizzazioni più radicali come quella delle Pantere Nere.

Un periodo storico che segna in modo indelebile la coscienza collettiva americana elevando il jazz, ma anche il soul-funk, a una dimensione espressiva senza precedenti, una musica “celebrale” intrisa di impegno civile, emblema dell’autodeterminazione di un’intera comunità in un periodo storico di forti tensioni sociali e razziali; una musica capace di riappropriarsi del patrimonio culturale africano antico e nello stesso tempo guardare alle nuove istanze dell’avanguardia europea. Diversi gli artisti presenti nelle due compilation, una sorta di opera enciclopedica, intitolata ” Soul of a nation”: Don Cherry, Art Ensemble of Chicago, Gil Scott Heron, Sarah Webster Trio, Funkedelic, James Mason, The oneness of Juju, Rashied Ali, Roy Ayears…

Una particolare attenzione da parte della Soul Jazz Records è rivolta alla riscoperta e conseguente ristampa di album prodotti da etichette indipendenti come la Strata East di New York , intorno alla quale nel periodo cinquanta/settanta gravitarono numerosi artisti afroamericani. Un ponte tra due modi di decifrare il panorama musicale molto simili fra loro per approccio e intenti, in periodi temporali diversi. Come Stuart Baker oggi, i produttori di ieri erano soliti scandagliere la scena indipedente afrocentrica alla scoperta di artisti e prodotti musicali al di fuori del circuito commerciale; veri e propri gioielli della corrente free e spiritual jazz. Tra questi spicca il batterista Steve Reid con l’album Nova del millenoventosettantaquattro (da poco ristampato dalla Soul Jazz Records) prodotto dalla Mustevic Sound, etichetta fondata dallo stesso Reid. Nello stesso periodo forma insieme a John Rigby il Master Brotherhood, un collettivo formato da musicisti uniti nel promuovere la musica terzomondistica nei club e college nell’aria intorno a New York City. La sua personale lotta in nome della libertà individuale e artistica intesa come rispetto dei diritti e delle scelte altrui gli costa nel millenovecentosessantanove una condanna a quattro anni di reclusione per essersi rifiutato di arruolarsi nella guerra del Vietnam. Suona negli anni con artisti come Miles Davis, Sun Ra, Fela Kuti, James Brown, Ornette Coleman. Nei primi anni duemila collabora con il compositore Kieran Hebden del guppo di musica elettronica Four Tet, con cui incide quattro album. Il suo spirito indomito si spegne nel duemiladieci ma rimane scolpito nel titolo dell’album Nova, contenente l’ipnotica Lions Of Juda composta dal trombettista Ahmead Abdullah, di cui Steve Reid ne spiega il significato “Nova è una forza positiva contro la cospirazione dei businessman, le compagnie discografiche, i manager radiofonici, proprietari dei club, critici, promoters che consapevolmente o inconsapevolmente controllano la qualità, lo stile e la quantità della musica che ascoltiamo”.

La Soul Jazz Records rimane un unicum nel panorama delle Label indipendenti, un’etichetta che in ogni sua produzione, per quanto possa essere culturalmente, geograficamente dissimile e apparentemente distante, mantiene una sua identità ben definita. Un’impronta musicale distinquible. Un’anima globale.

Intervista a cura di Fabrizio Montini Trotta

Foto e articolo a cura di Paolo Marra

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