NON E’ NATALE SENZA

A Natale non ho mai avuto una tavolata infinita di invitati per le feste natalizie perché siamo sempre stati pochi in famiglia (ma vi giuro buoni, buonissimi e va bene così).
Quest’anno quindi non sono nella giusta condizione per dire che mi dispiacerà non fare il veglione con tutti i parenti seduti a tavola.
In realtà però direi una bugia perché quest’anno credo mi mancherà più degli altri anni.
Ho sempre sognato una vigilia di Natale con tanti troppi parenti seduti vicini e urla a destra e a sinistra, ma spero di sposarmi un uomo con un seguito familiare non indifferente che mi farà recuperare un po’ di confusione natalizia!

Non molto tempo fa, ho sistemato delle vecchie scatole contenenti i lavoretti che facevo a scuola per le feste natalizie. Tralasciando la descrizione dei pastrocchi realizzati e la dolcezza nel rivederli, sono rimasta colpita dal pensare a quanto, da bambina, il momento dei lavoretti di Natale mi rendesse felice. Mi ricordo usavamo i punteruoli, delle diavolerie anche pericolose con cui seguendo la linea del disegno a matita che avevi realizzato in precedenza sul cartoncino colorato scelto con cura, ne componevi una figura bucandolo. E poi ti sbizzarrivi spremendo i tubetti di colla glitterata a volontà ovunque ti capitasse, ci facevi a gara con le compagne di classe a chi alla fine aveva il risultato più scintillante che non somigliasse a una vomitata di colori senza senso. Ma la parte che mi provocava l’adrenalina non era presentare il pastrocchio ai miei genitori, bensì quello che c’era dietro appiccicato con la colla stick. La poesia di Natale. Quella che la maestra ci faceva ricopiare a mano e imparare a memoria. Perché? Beh, perché la sera di Natale, con tanto coraggio, bisognava recitarla rigorosamente davanti alla famiglia! Mi diverte pensare che quell’epoca sia volata via così in fretta e che bastasse così poco da bambina per sentirmi realizzata. Sono rimasta con quella scatola in mano e ho pensato a tutte quelle volte che mi sentivo così fiera di me leggendo quelle poche righe alla mia piccola ma grande famiglia e che ci crediate o no, quelle esibizioni me le ricordo ancora. Per me il Natale è anche questo, è ricordare quelli passati quando siamo stati di più, è soprattutto un momento per raccogliersi oggi, per rivedere vecchie foto o aprire vecchie scatole, apparecchiare con cura la tavola con le nuove meravigliose creazioni fatte a mano da mia madre (sì ora i lavoretti li fa lei per passione, altro che i miei pastrocchi), mangiare, bere, guardare i film di Natale che ogni anno da rito si devono rivedere, le musiche, le candele…la luce.

E allora poi forse ho trovato il senso. Era questo il messaggio che la mia maestra Ilaria per cinque anni di elementari ha voluto trasmetterci con il rito della poesia di Natale: dovevamo essere coraggiosi. E allora mi piace credere che quest’anno, anche se si è pensato metaforicamente ai lavoretti di Natale perché non abbiamo avuto il giusto tempo da dedicargli, c’è ancora spazio per la nostra arte poetica. Natale deriva proprio dal termine “nascita” e di fatto la vita partorisce di continuo e bisogna starle dietro, seguire il ritmo. Ogni giorno dobbiamo ricordare a noi stessi che ci vuole vita per amare la vita e, soprattutto, un grande coraggio per riuscirci. Più o meno lo stesso coraggio per leggere la poesia di Natale, per continuare a farlo nonostante tutto. Costi quel che costi.

Giulia Di Filippo

Massi

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